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Perché pago le tasse. Una storia (e un’idea per l’opposizione)

Sono un obbligo seccante finché non si ha bisogno dei servizi. Nonostante i definanziamenti degli ultimi 25 anni, la sanità pubblica ancora è in grado di riservare sorprese positive

Pagare letassepuò essere seccante. Da lavoratoredipendente, leggere il totale delletrattenutee confrontare il lordo con il netto è un colpo al cuore. A volte scatta un senso di ingiustizia:così è troppo.Gliautonomihanno l’opzione di fatturare e dichiarare meno del dovuto etantissimi lo fanno. Chi versa fino all’ultimo centesimo tende a sentirsi in minoranza. Cornuto e mazziato. Mentre alle sue spalle glievasoriinnaffiano con lochampagneun banchetto a base diostrichee tagliolini al tartufo, come in uno sfortunatospot delministero dell’Economiache avrebbe dovuto convincere le partite Iva ad aderire al (fallimentare)concordato preventivobiennale con il fisco.

Capita però che a un certo punto dellavitaqualcosa ci ricordi perché paghiamo. E perché rivolgersi ai contribuenti onesti promettendo rigore estremo contro quel furto che è l’evasione– e impegnandosi a correggere leinsopportabiliiniquitàdell’attuale sistema fiscale, a partire dalleflat tax– potrebbe essere una buona idea per i partiti dell’attualeopposizione.

Il punto per me è questo perché mia madre sta morendo. Dopo il terzo, lungoricoverodi quest’anno abbiamo deciso di riportarla a casa come aveva chiesto. Gestire in casa unpaziente oncologico terminale, al netto del peso psicologico sui famigliari che se ne prendono cura, richiede molta organizzazione e l’aiuto di diversi professionisti. Ma permette anche di scoprire che, nonostante ildefinanziamentoin termini realisubìto negli ultimi 15 anni, lasanità pubblicaitaliana è miracolosamente ancora in grado di riservare sorprese positive.Medici,infermierieOssche in reparti fatiscenti dedicano ai ricoverati un’attenzione affettuosa. Una rete diservizi territorialiche offre gratuitamente non solo attrezzature e presìdi ma anche lavisita quotidianadi un infermiere e la presa in carico da parte di un medicopalliativistache valuta lo stato del paziente, fornisce glianalgesiciper la terapia del dolore, offre alla famiglia colloqui con unopsicologo, propone l’opzione del ricovero inhospice.

Sono diritti fondamentali, previsti dallalegge 38 del 2010.Vederseli riconoscere per davvero è però unsollievoinatteso. Del resto garantirli è sempre più difficile. IlFriuli-Venezia Giulia, dove mia madre vive, è la seconda Regione piùanzianad’Italia e il fabbisogno di cure palliative è dieci volte superiore alla media nazionale per 100mila abitanti. I medici sono troppo pochi e fanno i salti mortali. Oltre ai casi terminali, devono gestire centinaia di pazienti conmalattie neurodegenerativea lungo decorso. Servono più risorse e più professionisti.

E qui torniamo alle tasse, obbligo seccante fino a che non si ha bisogno dei servizi che contribuiscono a finanziare. Quali? Scoprirlo non è difficile: la pagina personale di ogni contribuente, sul sito dell’Agenzia delle Entrate, raccontache cosa è stato pagatocon le sue imposte. L’anno scorso3.700 euro della mia Irpefsono andati alla voce previdenza e assistenza, quasi3mila alla sanità. Averli pagati, al momento, mi fa sentire in pace. Mi piace illudermi che un evasore incallito, in una situazione analoga, provi un certo disagio. Che c’entra l’opposizione? Oggi ancora di più voterei volentieri chi mi promettesse difare tutto il necessario– gli esperti possonosuggerire le ricette più efficaci– perchétutti paghino. Il che consentirebbe di recuperare strutturalmenteun centinaio di miliardi l’annoe per quella via, oltre aridurre le aliquoteper tutti, portarela spesa sanitaria a unlivello decorosoin proporzione al pil. Se nel programma fosse anche previsto che nemmeno un euro sarà tolto a sanità, istruzione e assistenza per gonfiare la spesa per la difesa, tanto meglio.

Fonte: Google News


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